La genesi di un romanzo: risposte a tanti
perché
“Il Mondo dei Grimm” è stato la mia prima esperienza narrativa: in precedenza mi ero dedicato solo ad
esperienze didattiche in ambito scientifico, senza dubbio molto interessanti ma che non potevano ovviamente lasciare molto spazio alla fantasia. Ciononostante avrei continuato su queste tematiche se
non fosse stato per l’insistenza di mia moglie che mi esortava a tentare un’altra strada, quella del romanzo d’avventura. Ancora oggi non so da dove traesse una tale fiducia nelle mie capacità dato
che cimentarsi con un racconto è estremamente differente dal descrivere enunciati di fisica. Tuttavia sono sempre stato propenso ad accettare sfide ed allora è stato così che ho tentato…(del resto
non è mai bene contrariare una donna, e le mogli meno che mai).
Perché un libro?
Sono sempre stato attratto dal mistero, per cui mi sono detto che se proprio dovevo scrivere un romanzo
allora questo si sarebbe dovuto occupare di qualcosa di molto intrigante, di inquietante, che nei limiti del possibile non lasciasse spazio a tempi morti. La narrativa è ovviamente piena di argomenti
del genere, anche pregevoli, per cui raccogliendo la sfida è stato allora subito naturale orientare la strada che mi stavo accingendo a intraprendere verso il genere thriller, o addirittura horror.
Un mix che ha sempre avuto su di me (e non solo) un innegabile fascino. Ritengo infatti che un racconto debba regalare al lettore dei momenti di spensieratezza, di relax: fornire in definitiva uno
stacco dalla banalità della vita quotidiana che, almeno per quel che mi riguarda, la suspense indotta da un tale genere di lettura riesce senz’altro a garantire. È naturalmente un mio punto di
vista…ma è il mio! È quello che mi piace, e non ho avuto indugi in tal senso.
Mi sono quindi chiesto: se volessi davvero provare a illustrare un racconto del genere da dove potrei
iniziare? La scelta è allora ricaduta sul classico oggetto dai poteri magici, quella sorta di reliquia proveniente dal lontano passato e che, facendo irruzione nel nostro mondo, provoca danni
incalcolabili agli sventurati che malauguratamente si trovano ad incappare nelle sue qualità ultraterrene. La narrativa è piena di esempi in tal senso, uno per tutti l’Arca dell’Alleanza del film di
Indiana Jones “I predatori dell’Arca Perduta”: probabilmente il più grande panegirico di tutti gli oggetti magici. Dal mio canto, però, senza arrivare a tanto cosa avrei potuto
utilizzare?
La scelta è ricaduta su un libro.
Perché un libro? Beh, intanto perché mi piacciono i libri, li adoro. Rispetto ad altri manufatti dell’uomo
emanano un fascino particolare, in quanto ricettacolo della sapienza altrui. Una sapienza che può esprimersi verso il lettore in modo positivo ma anche negativo a seconda della personalità e delle
intenzioni dell’autore. E proprio a tal proposito è indubbio come da sempre sia proprio “il male” ad attrarre facilmente grandi masse di lettori. I casi in tal senso si sprecano: esistono infatti
personalità positive che illustrano situazioni negative, come fa ad esempio Dante Alighieri nell’Inferno della sua Divina Commedia, un vero e proprio viaggio iniziatico attraverso la malvagità umana
fino a giungere nell’ultimo canto a una sorta di nuova rinascita, a emergere dalle ombre del male fino…a riveder le stelle”, quasi a voler ribadire la supremazia delle forze del bene sui
malvagi e sul peccato. Ma sono le personalità negative che riescono ancor più facilmente a esternare i caratteri della loro personalità: basti pensare al riguardo al Malleus Maleficarum, il Martello
delle Streghe pubblicato dai frati domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger nel 1487, pseudo bolla papale utilizzata tra il XIV e il XVI secolo per fronteggiare le attività di stregoneria. O al
Mein Kampf di Adolf Hitler, vasta raccolta di deliranti dottrine antisemite accompagnate da un coacervo di congetture su una razza superiore, quella ariana, nell’ideologia nazista destinata a
dominare il mondo.
Ma senza tuttavia dover per forza far ricorso a questi esempi estremi esistono comunque anche libri innocui
a cui per esigenze narrative è stata magari associata una caratterizzazione di negatività. È il caso ad esempio del secondo libro della Poetica di Aristotele, dove nel romanzo Il Nome della Rosa di
Umberto Eco diventa un vero e proprio libro che uccide: un testo, quello di Aristotele, in realtà inesistente in quanto andato perduto forse proprio in quel famoso disastro che è stato l’incendio
della Biblioteca di Alessandria. Evento con cui inizia anche “Il mondo dei Grimm”.
Ecco, quindi, che la chiave per l’inizio di quel romanzo stava tutta lì, in quella immane catastrofe di
sapienza occorsa ormai tanti secoli fa. Cosa poteva essere stato bruciato nell’incendio della più vasta biblioteca del mondo antico? Con un po’ di fantasia, prendendo spunto proprio da un evento del
genere è allora facile immaginare come accanto ad innocui - seppur preziosi - testi ci fosse stato magari anche qualcosa di più. Per esempio che con quell’opera di distruzione si volesse forse anche
cancellare le tracce di qualcos’altro ben più pericoloso. Un qualcosa a cui oggi potremmo attribuire l’appellativo di libro maledetto.
Una rapida ricerca su internet di libri maledetti ha portato a diversi risultati facenti capo ai cosiddetti
Libri di Toth, leggendaria raccolta di arcani formulari che si asseriva essere stati tramandati dal dio Toth in persona ai suoi sacerdoti. Tali testi avrebbero dischiuso all’umanità i misteri dei
cieli, ma soprattutto garantito una conoscenza infinita al loro possessore e forse anche il segreto dell’immortalità. In realtà poco o nulla si sa di questi presunti testi, ma quel poco che sappiamo
è più che sufficiente per potervi imbastire l’inizio della trama di un romanzo. Così è stato appunto per Il Mondo dei Grimm.
Perché i Grimm?
Una volta scelto l’oggetto misterioso su cui far ruotare un ipotetico racconto si
trattava di individuare gli sventurati personaggi che avrebbero loro malgrado dovuto sottostare ai capricci di un destino perfido, portandoli ad affrontare tutta una sorta di pericolose avventure in
qualche modo collegate a questi fantomatici Libri di Toth. Qui mi è venuta in aiuto un’altra mia passione, quella delle fiabe dei Fratelli Grimm e del loro carattere horror. Oh, si, ho detto horror!
Quando pensiamo a Biancaneve o Cenerentola, ad esempio, credo che nel nostro immaginario collettivo tali storie restino ormai legate agli stereotipi che ci sono stati narrati negli anni dai film
della Disney: belle favole per bambini e ragazzi, con una forte connotazione di innocenza, dove il bene trionfa sempre sul male, e in un modo potremmo dire molto “soft”.
Ma se vi accingerete a leggere un racconto originale dei Fratelli Grimm vi scoprirete invece tutto l’orrore
che permeava la società delle popolazioni dell’Europa Centrale che avevano subito il devastante conflitto della guerra dei trent’anni, le cui conseguenze erano ben vivide ancora due secoli dopo,
nell’epoca in cui i Grimm si appassionavano nel raccogliere ballate, canti popolari e leggende contadine, unendo infine il tutto in una raccolta di racconti brevi non certo dedicati ai bambini. In
tali racconti, infatti, sono spesso descritti dettagli cruenti e allusioni alla sessualità che poco hanno a che fare con l’infanzia, rievocando invece le atmosfere cupe e tenebrose delle tradizioni
popolari germaniche il cui retaggio si perdeva nel passato di sangue che aveva appunto visto coinvolte le popolazioni tedesche e dell’Europa Centrale.
Mi ha sempre stupito questa ambiguità presente nelle fiabe dei Fratelli Grimm. Stupito e soprattutto
intrigato, tanto da chiedermi: come si comporterebbe un adulto, una persona razionale, uno di noi, insomma, una volta che venisse a trovarsi calato in una tal surreale realtà? Ed ecco quindi adesso
che, con gli appropriati ingredienti horror, ciò che restava da fare era solo trovare la maniera di “entrare” nelle fiabe “giuste”. Era qui allora che si rendeva finalmente utile “il potere dei Libri
di Thot”.
Perché Francoforte?
Con l’immenso potere dei Libri di Toth “a disposizione” non restava virtualmente
più nulla che impedisse ai personaggi del romanzo che mi accingevo a scrivere di arrivare a trovarsi invischiati in una realtà alternativa come quella descritta nelle fiabe dei Grimm. Si, ma quali
personaggi scegliere? E soprattutto su quale scenario sarebbe stato opportuno che si trovassero ad agire?
Qui è stato abbastanza facile: i Fratelli Grimm erano originari di Hanau, una piccola città vicino la
metropoli di Francoforte, andata totalmente distrutta durante il secondo conflitto mondiale e oggi ricostruita, anche se purtroppo le sue originarie caratteristiche medioevali sono andate perdute.
Ragion per cui la scelta è ricaduta appunto su Francoforte che, in quanto grande città, poteva offrire molte interessanti opportunità narrative. Abbiamo infatti parchi, biblioteche pubbliche, centri
finanziari, aeroporto, università, comandi di polizia, autostrade, tutti elementi che possono ben contribuire a rendere vivo un racconto ambientato almeno in parte in un contesto urbano
moderno.
Perché Squadra K?
Originariamente non avevo assolutamente idea di dove si sarebbe potuti arrivare con
questo racconto. È vero, avevo il Libro di Toth (si fa per dire), e avevo scelto un contesto urbano attuale dove ambientare il mio romanzo. Ma il resto, ovvero sia titolo che i personaggi, restava
ancora un progetto tutto in alto mare. In genere, in queste situazioni, lascio allora andare la fantasia; libero la mente e colgo la prima idea che mi capita a tiro: è stato così che si è
materializzato il primo nome, il nome di Mark. Mark Schubert, per l’esattezza. Perché? Non lo so, non c’era una ragione particolare. Sia il nome che soprattutto il cognome, identico a quello del
famoso compositore austriaco, sono apparsi improvvisamente così nella mia testa, e li ho presi. Ma chi sarebbe mai potuto essere questo Mark? Beh, dovendo imperniare in qualche modo il racconto sui
Fratelli Grimm è stato immediato allora “trasformare” questo Mark in un professore di storia e letteratura tedesche, specializzato in miti nordici. E per dare vivacità al racconto l’ho immaginato
ancora abbastanza giovane, un giovane dottorando in lettere appassionato fin da bambino del folclore nordico ma nel contempo una persona molto razionale e piuttosto introversa, il classico
“secchione”, insomma. La sua figura potrebbe ricordare quella di un nerd, ma in realtà Mark è molto più spigliato e quando davvero occorre sa prendere le sue decisioni, anche rischiose. Anche se ogni
tanto magari tende a ponderare una volta di troppo.
Nella scelta dei nomi qualcosa di simile è accaduta subito dopo per l’amico di Mark, Viktor Meier. Ma
stavolta solo il nome è stato frutto dell’intuizione, per il cognome mi sono invece avvalso di una ricerca su internet sui cognomi tedeschi. Fra i tanti ho trovato Meier, mi è piaciuto subito e non
ci ho pensato su due volte. Ma chi sarebbe dovuto essere questo Viktor Meier? Sempre per dare vivacità al racconto l’ho subito immaginato un grande amico di Mark, ma di personalità totalmente
opposta. La dove Mark è scontroso Viktor è esuberante, dove Mark è riflessivo Viktor è invece decisamente impulsivo e si lascia spesso andare ad esplosioni di improvvisa ilarità.
Anche nel fisico i due amici sono diversi: Mark ha una corporatura molto atletica, pur non svolgendo
particolare attività fisica. Il suo hobby infatti è la musica e a tempo perso suona il sax con degli amici. Viktor invece è alto molto corpulento: può apparire sovrappeso, e in parte lo è davvero un
pochino, ma è comunque estremamente muscoloso, forte quasi quanto due persone. Con in più una straordinaria particolarità: la capacità di condizionare le scelte di chi gli sta intorno, di piegarle al
suo volere e di far assecondare i suoi desideri, una dote innata, posseduta fin dalla sua prima infanzia. A qualcuno potrà anche ricordare una sorta di Killgrave di marveliana memoria (l’uomo
porpora, se qualcuno si intende di super eroi), ma non così potente e soprattutto non così malvagio: Viktor è infatti fondamentalmente un personaggio positivo, con un debole per le belle donne e
tuttavia la segreta paura che legarsi a qualcuno possa prima o poi limitare la sua libertà individuale (un timore, questo, condiviso del resto da parecchie persone).
Il terzo personaggio della nostra saga, in ordine di apparizione, è stato invece la fidanzata di Mark: in
origine doveva chiamarsi Maria, Maria Frieda, era infatti il primo nome che mi era venuto in mente e mi piaceva, ma in quella fase ancora non avevo chiaro in testa il titolo del racconto. Finché
questo non mi è venuto in sogno, durante un dormiveglia: si, è proprio così che ho scelto di usare il termine di Squadra K. L’ho praticamente sognato! Evidentemente le cose funzionano anche
così…
L’intuizione avuta nel dormiveglia era che la K si sarebbe dovuta intendere come la lettera comune presente
in ciascuno dei nomi di questo gruppo di amici: però era chiaro come a quel punto Maria non andasse ovviamente bene, per cui sono immediatamente passato a Klaudia: Klaudia Frieda Wolf, dunque, il cui
cognome avrebbe assunto tra l’altro una importanza strategica nel corso del romanzo. Si, il ruolo della fidanzata di Mark, adesso chiamata Klaudia, era una delle poche cose che avevo già in mente per
il gran finale.
Una volta adottata quest’ottica parte della strada era indirizzata: a questo punto infatti tutti i
personaggi principali che si sarebbero succeduti nel corso del racconto avrebbero dovuto avere la K nel nome. Il che significava che tutti appartenevano alla stessa squadra.
Perché i giapponesi?
Bella domanda: francamente questo non lo ricordo. Deve essersi trattato di una
quelle mie intuizioni a cui do immediatamente credito una volta che si presentano alla mia mente, anche se con il senno di poi magari vanno a provocare complicazioni non di poco conto nello sviluppo
del racconto. Ma improvvisamente ho “sentito” che ci sarebbero dovuti essere dei giapponesi, anzi una in particolare: Fujita Atsuko, ovviamente con la fatidica K nel nome. Così come ci sarebbe stata
la K anche nel nome del suo fidanzato, Nichimori Koichi. Ma a quanto ne so in parecchi nomi giapponesi si ritrova il suono della K, quindi qui in un certo senso è stato ancora più
facile.
Ma mentre per Atsuko qualche idea in testa iniziava già a delinearsi per Koichi invece non sapevo quasi
nulla: chi fosse, perché era lì, cosa voleva. Sentivo solo che doveva esserci ma senza sapere il perché. Addirittura la sera del suo arrivo se ne va in giro per una città a lui sconosciuta, lasciando
da sola la sua fidanzata. Giuro, al momento di scrivere non sapevo ancora dove fosse andato e perché, anche se sentivo che in lui doveva esserci qualcosa che non andava. Le risposte sono comunque
arrivate dopo, ed è stata una sorpresa anche per me scoprire pian piano il suo vero ruolo: la trama si iniziava a dipanare un po’ alla volta davanti ai miei occhi…e iniziava a diventare sempre più
complessa.
Perché Kaspar?
All’inizio del progetto non era lontanamente nei miei pensieri inserire anche un
poliziotto nel racconto. Ma a un certo punto mi sono trovato nella necessità di dover inviare Mark in un luogo dove era stato commesso da poco un crimine efferato, per prelevare un determinato
oggetto di cui avrebbe avuto bisogno per il compito che lo attendeva. Tuttavia non desideravo affatto trasformare il mio personaggio principale in una sorta di avventuriero che si faceva beffe delle
forze dell’ordine, andando nottetempo a violare i sigilli disposti su un luogo dove le indagini erano ancora in corso. Ma come risolvere il problema? La risposta è arrivata quasi immediata: avrebbe
avuto bisogno di un aiuto. E da parte di chi? Ma della polizia stessa, ovviamente!
Ma perché la polizia avrebbe dovuto aiutare Mark? Ecco allora inserire nel racconto la figura di Kaspar: uno
zio, fratello del papà di Mark, deceduto improvvisamente mesi prima, ispettore capo della polizia di Francoforte. Ed ecco così che il problema di recarsi sul luogo del crimine a prelevare una
potenziale prova si risolveva facilmente.
Beh, quasi.
In realtà l’inserimento solo in fase successiva della figura di Kaspar ha comportato la necessità di dover
rielaborare daccapo la parte iniziale del racconto, inserendo allo scopo opportuni accenni qua e là per far capire quale sarebbe dovuto essere il suo ruolo, in modo da poterlo inserire attivamente
nella trama quando sarebbe arrivato il momento giusto. E quando tale momento si è finalmente presentato allora anche il ruolo di Kaspar si è inaspettatamente dimostrato fondamentale, se consideriamo
che si trattava comunque di un personaggio che all’inizio non era stato neanche concepito. Ovviamente, per essere sicuri della sua importanza, è stato fatto si che anche la scelta del suo nome
includesse la lettera K: così, tanto per non lasciare nulla al caso. Kaspar Schubert, benvenuto tra noi.
Dopo questa fase avevo ormai a disposizione gli attori principali: gli altri si sono invece andati ad
aggiungere man mano in modo sempre più naturale, ed è stato così che in definitiva è nato “Il mondo dei Grimm”. Si è trattato di una esperienza che mi ha decisamente sorpreso, in quanto ero curioso
anch’io di capire cosa sarebbe successo, di come sarebbe andata a finire perché inizialmente avevo in testa solo delle vaghe idee della trama nel suo complesso, idee che assumevano una forma concreta
solo nel momento in cui se ne approntava direttamente la descrizione. In un certo senso, quindi, mi sono ritrovato ad essere lettore di me stesso. Ed è stato mentre “mi leggevo” che mi sono
accorto che “Il mondo dei Grimm” lasciava aperte delle situazioni che non si sarebbero potute risolvere frettolosamente, pena snaturare quanto fatto con tanta cura fino ad allora. E ho così capito
che per offrire una esauriente narrazione sarebbe stato invece necessario affrontarle in separata sede: è stato così allora che dall’iniziale titolo “Il mondo dei Grimm” sono passato a “Squadra K -
Il mondo dei Grimm”: nella mia mente andava prendendo forma l’idea della saga!
Squadra K, da romanzo iniziato quasi per scommessa con me stesso (e per far contenta mia moglie), adesso
evolve e diventa quindi una saga, una serie di avventure. Dove ci condurranno? Di nuovo, al momento di scrivere queste righe, ancora non lo so. Non ho ancora la risposta a questa domanda: ma se hai
già letto il primo libro e hai continuato a leggere fino a qui, mio “fedele lettore” (come direbbe il “maestro” Stephen King) vuol dire che in fondo qualcosa di quanto ho narrato finora è piaciuto
anche a te. Mentre se questo è invece il tuo primo approccio al mondo di Mark, Viktor, Klaudia, Kaspar e Atsuko allora, mio buon lettore, sii il benvenuto. Spero che ti piaceranno e che li troverai
simpatici anche tu, come fossero dei buoni amici.
Quel che vi appresterete a leggere è quindi la continuazione de “Il mondo dei Grimm”. Gli eventi descritti
si collocano infatti, temporalmente, appena poche ore dopo la conclusione di quella prima avventura e, come avrete modo di vedere, sono tante le situazioni non ancora risolte, rimaste in sospeso
dalla conclusione del precedente racconto.
Sarà perciò inevitabile avere a breve nuovamente bisogno dell’intervento della Squadra K!